15/5/2017 ancora Uganda.
“Siamo arrivati da quattro giorni in missione dopo un lungo viaggio attraverso molti luoghi e dentro noi stessi, che, fino a questo momento, non sono riuscita a trasformare in parole. Non è semplice scrivere certe emozioni, significa renderle concrete, dar loro una forma, che non si potrà modificare con il passare del tempo. Fissarle lì, nero su bianco, significa farci i conti per davvero. Quindi, dal primo giorno di viaggio, ogni volta che Valentina mi ha chiesto di scrivere su questo diario, la mia risposta è sempre stata semplice: adesso no. Ogni giorno, fin ora. Stanotte credo sia arrivato il momento anche per me di fare i conti con ciò che ho provato negli ultimi giorni.
In partenza è stato…in una sola parola: abbandonare. Abbandonare le certezze, le abitudini, i sapori e i profumi di casa, gli sguardi e gli abbracci familiari, i luoghi sicuri, le strade che hanno sempre una meta conosciuta, quelle che percorriamo ogni giorno e che sappiamo esattamente dove ci porteranno. Abbandonare nel vero senso della parola: prendere una valigia che non può contenere nessuna di queste cose e partire verso un mondo diverso, un mondo nuovo. Un luogo fisico, ma anche un luogo interiore, la ricerca di uno sguardo nuovo sulla nostra realtà, attraverso la scoperta di altre realtà. Abbandonare, spogliarsi di tutto quello che non possiamo dimenticare…lasciarlo lì e partire.
All’arrivo è stato…in una sola parola: scoprire l’Africa e, soprattutto, scoprire la missione. Dopo un breve viaggio in aereo, una sosta di una notte a Roma, un altro lungo viaggio in aereo e una prima notte africana, eccolo…un viaggio di nove ore su un pullmino a noi riservato, che ci ha permesso, attraversando l’Uganda, di iniziare a riempire il vuoto della partenza con nuovi sapori e nuovi profumi, nuovi luoghi e nuove strade, che abbiamo percorso senza sapere cosa aspettarci al passo successivo, con quel senso di continua sorpresa e continuo stupore della scoperta. Così abbiamo iniziato a riempire le nostre valige, ognuno a modo suo, con un po’ di Africa. L’arrivo in missione è stato semplicemente emozionante, a darci il benvenuto un cielo da lasciare senza fiato insieme a persone che ci hanno regalato la miglior accoglienza e ad un luogo che, sembra difficile da credere, ma appare come un’oasi di pace e serenità: un piccolo mondo che da subito ha avuto una sorta di lontano sapore di casa, semplice da sentire.
L’altro ieri abbiamo visitato l’intera missione e, finalmente, avuto l’opportunità di entrare in contatto con gli abitanti di due villaggi che si trovano qui vicino. Sembrerà scontato, ma le emozioni più intense che le persone del posto mi hanno trasmesso, sono arrivate dai bambini. Ci chiamano mzungu, significa ‘uomo bianco’, ha un’accezione dispregiativa, ma detto dai bimbi no. Per loro vale. Al villaggio, è semplicemente: ovunque colori che catturano prepotentemente i nostri sguardi, mani che ci sfiorano, ci toccano, ci stringono per darci il benvenuto, bambini che ci abbracciano, come ci avessero sempre avuti lì e come se qualcuno bianco come noi non lo avessero visto mai. L’immagine più potente sono i sorrisi pieni di una gioia immensa. Quella gioia immensa che contagia il cuore e che, dopo essersene impadronita, lì fa a botte con la tristezza che sentiamo nel vedere le condizioni di vita in cui si trovano costretti bambini e famiglie.
Ieri a darci il buongiorno è stata una messa in stile africano. Canti e vestiti tradizionali hanno subito colorato l’atmosfera della chiesa di Rooshoka. È impossibile per noi non farci avvolgere immediatamente da un senso di pace. Dopo la messa, decidiamo di salire al lago di Buyoni, il terzo lago più profondo al mondo e uno dei più puliti. Lo spettacolo che troviamo ad attenderci è assolutamente sorprendente. Una bellezza naturale fuori dal normale e l’occasione per noi per sederci davanti a quel panorama, parlare e ascoltarci. Ascoltarci per davvero: da quando siamo arrivati, i momenti in cui ci è possibile ‘connetterci’ con il mondo sono pochissimi. All’inizio non è stato semplice abbandonare questa abitudine, ma dopo poco credo abbiamo tutti imparato ad apprezzare il tempo che abbiamo ritrovato…così.
Oggi abbiamo deciso di dedicare una giornata alla visita del Queen Elizabeth National Park, più di duemila km quadrati percorrendo i quali è possibile osservare varie specie animali nel loro habitat naturale. Una giornata diversa, dedicata a noi più che alla missione, dedicata alla bellezza di questi posti che non può passare inosservata. Come sempre in questi giorni, l’Uganda ha saputo emozionarci con i suoi meravigliosi paesaggi. Una varietà immensa di colori mi ricorda quanto di bello c’è da vedere e come è facile dimenticarsi quanto c’è di altro e di diverso rispetto alla nostra piccolissima porzione di mondo, che troppo spesso può darci l’illusione di essere tutto. Sul nostro percorso incontriamo elefanti, antilopi, ippopotami, scimmie, aquile e molti altri animali. Sulla strada del ritorno, verso l’uscita del parco, parte una gara all’avvistamento degli animali ed è facile sorridere. Sullo sfondo un tramonto da togliere il fiato. La nostra vita con le sue mille abitudini abbandonate a casa sembra molto più distante di una manciata di giorni e il nostro bagaglio di esperienze ha tutto un altro peso…” R.
“Cos’è l’Africa?
È la terra dei colori..degli occhi neri come il carbone, del bianco dei sorrisi, del rosso della terra, di quella terra che non si può raccontare, si deve sentire dentro;
l’Africa è il verde di una distesa sterminata di piantagioni di the, di alberi di banana, è odore di polvere, odore di grida talmente alte da essere quasi bianche accecanti, su volti di pelle scura.
L’Africa è un cuore che batte dentro il petto di ogni bimbo incontrato, di ogni sguardo sostenuto. Non si può raccontare, deve essere vissuta. È emozioni, magone, calore, abbracci, tatto…ecco si l’Africa è anche tatto di bambini curiosi che ti guardano come se fossi appena atterrato sulla loro terra;
atterrato su strade sconfinate che arrivano a perdersi all’orizzonte.
L’Africa è l’ aria che respiri a pieni polmoni su un “bodaboda”, una moto che sfreccia su terre polverose, che attraversano villaggi ricchi solo di una cosa, povertà assoluta; è enormi nuvole, è il susseguirsi di case basse, quadrate, multicolori, di gente che vende qualsiasi cosa possibile. L’Africa è contrasto tra bellissimi resort su laghi da sogno per turisti e di capanne diroccate in cui vivono in dieci. È missioni, dispensari, è esseri umani che spingono biciclette cariche di banane su salite improbabili, è sofferenza, difficoltà, ma grandi balli fino a notte fonda. L’Africa è cuore, quello che in questa meravigliosa terra lascerò per sempre, con una promessa. Tornarci.” F.