Africa Capanne

Siamo noi gli stranieri

24/07/2018
“L’asfalto cede il passo appena lasciamo la strada principale, ovunque, come se dovesse rispettare il primato di questa terra rossa, polverosa, che ti vela la pelle e che ti porterai indietro a casa, sulle scarpe e i vestiti, tentando vanamente di toglierla.
Bastano pochi passi addentrandosi nell’interno per cambiare repentinamente scenario e protagonisti. Siamo fuori, in totale sicurezza, ma ora siamo noi gli stranieri, in mezzo a tante facce che si avvicendano lungo questa carrareccia che porta verso un villaggio. Sono i visi spesso sorridenti e curiosi di chi è affacendato nelle proprie occupazioni quotidiane, camminando oppure passando sui boda-boda che affrontano le buche e gli avvallamenti della terra con grande indifferenza. Bastano pochi passi e dietro una curva si improvvisa un mercato, nato da qualche incrocio con un camion carico di banane, sacchi e tanta umanità. Attorno si affollano donne, molti uomini, qualche bambino, che ci scrutano incuriositi dal passaggio infrequente di tre Muzungu per quello che è il loro territorio. È uno scambio gentile di saluti in inglese, come quello che in montagna sui sentieri usiamo per condividere in poche parole una condivisione di umanità. Attorno, tante risate e frasi divertite, che ovviamente non possiamo capire, ma di cui ovviamente noi siamo l’esotico soggetto.
Poco oltre lungo la strada iniziano ad affacciarsi le prime case, di fango all’inizio, via via con qualche piccola pretesa in più, tutte dignitose nel loro essere povere. Fanno capolino molto bambini, in una mattinata che invece li dovrebbe occupare a scuola, timidi ma incuriositi da un passaggio così insolito. Anche noi siamo un po’ intimiditi nell’invadere il loro spazio, e pur indugiando nell’osservare gli interni delle case, esitiamo a fare foto e a lasciare la strada maestra. Il villaggio si allunga per qualche decina di metri, appena colorato dove serve ricordare che c’è un negozio, si fa per dire, del gestore telefonico, o quello che potremmo definire un piccolo commercio o un bar. Dignitosi come qualsiasi cosa che è ospitata in una casa di fango con il pavimento in terra battuta.
E poco dopo, di nuovo, terra arsa dal sole, dove languono le piante appassite di mais raccolto poche settimane fa, che si alterna alle piante di banano. Dietro al fusto di un albero, un bambino si nasconde sorridendo appena incrociamo lo sguardo. Basta un sorriso così per farti capire quanto ci manca la semplicità.” P.